2050: se non cambiamo alimentazione riscaldamento oltre i limiti e crisi alimentare / Essere Animali

Cop23-le-10-cose-da-sapere-sui-cambiamenti-climatici_referenceSulla rivista Nature a ottobre 2018 è uscito questo articolo:

<<Il sistema alimentare è uno dei principali motori del cambiamento climatico, i cambiamenti nell’uso del suolo, l’esaurimento delle risorse di acqua dolce e l’inquinamento degli ecosistemi acquatici e terrestri attraverso l’eccesso di input di azoto e fosforo. Qui mostriamo che tra il 2010 e il 2050, a seguito di cambiamenti previsti nei livelli di popolazione e reddito, gli effetti ambientali del sistema alimentare potrebbero aumentare del 50-90% in assenza di cambiamenti tecnologici e misure di mitigazione dedicate, raggiungendo livelli che sono oltre i confini planetari che definiscono uno spazio operativo sicuro per l’umanità. Analizziamo diverse opzioni per ridurre gli effetti ambientali del sistema alimentare, compresi i cambiamenti dietetici verso diete più sane e più vegetali, miglioramenti nelle tecnologie e nella gestione e riduzioni della perdita e dei rifiuti alimentari. Scopriamo che nessuna misura singola è sufficiente a mantenere questi effetti all’interno di tutti i confini planetari simultaneamente e che sarà necessaria una combinazione sinergica di misure per mitigare sufficientemente l’aumento previsto delle pressioni ambientali.>> (Summary dell’articolo tradotto con Google Translate)

>> A seguire l’articolo diffuso dall’Associazione Essere Animali 

Dobbiamo cambiare il regime alimentare, altrimenti entro il 2050 il sistema collasserà su stesso.

Non si tratta dell’incipit di un film, ma è la sintesi estrema di recenti studi globali comparati che hanno messo davanti agli occhi di tutti l’esigenza di cambiare stile di vita.

« Rendere più green il settore alimentare o divorare il nostro pianeta: questo c’è nel menù di oggi. »

È così che si è espresso Johan Rockström, uno degli esperti che, a seguito delle sue ricerche, considera il cambiamento indispensabile.

In gioco c’è il nostro futuro

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📷 © Essere Animali

Il nuovo studio – pubblicato sulla rivista Nature – usa dati provenienti da ogni paese per valutare l’impatto della produzione alimentare sull’ambiente e ciò che potrebbe essere fatto per interromperne gli effetti distruttivi.

Gli aspetti critici sono due.

Il riscaldamento globale incontrollato

riscaldamento globale e animali

Andando avanti di questo passo non si riuscirà a mantenere gli impegni dell’accordo di Parigi per contenere il riscaldamento globale medio del pianeta a massimo 2°C, tanto meno entro l’ambizioso obiettivo di 1,5°C. Nella nuova ricerca globale Global Warming of 1,5°C commissionata dall’ONU e uscita in questi giorni, si afferma addirittura che la riduzione di emissione debba avvenire entro i prossimi 12 anni per evitare il superamento dei limiti prefissati.

Alla luce di queste stime, l’invito a cambiare il regime alimentare a livello planetario può essere visto quasi come un obbligo. La situazione della produzione di derivati animali è infatti così grave che se prese insieme, le cinque principali aziende di questo settore sono già responsabili di più emissioni di ExxonMobil, Shell o BP. Le aziende di carne e latticini sono infatti prossime a ottenere il primato nelle cause del cambiamento climatico.

Lo spettro della carestia

Allevamenti

L’altro importante aspetto messo in luce dalla ricerca è il rischio per il fabbisogno alimentare. Nutrire una popolazione mondiale di 10 miliardi sarà possibile, ma solo se cambieremo il modo in cui mangiamo e il modo in cui produciamo cibo. Il nostro attuale regime alimentare è insostenibile. Senza una radicale trasformazione della nostra alimentazioni, metteremo le generazioni future davanti al serio rischio di una crisi alimentare globale.

L’alimentazione è la chiave

Dati alimentari

Secondo gli esperti che hanno partecipato alla ricerca, una dieta almeno “flexitarian” è necessaria per mantenere il cambiamento climatico sotto controllo. Questo porterebbe ad una riduzione del 74% delle emissione di gas serra rispetto ad oggi.
Con “dieta frexitarian” si indica che nel mondo il cittadino medio che mangia prodotti di origine animale dovrebbe consumare almeno il 75% in meno di manzo (90% se si parla di Regno Unito e Stati Uniti) e il 90% in meno di carne di maiale, oltre a metà del numero di uova e litri di latte. Bisognerebbe quindi modificare l’alimentazione triplicando il consumo di legumi e quadruplicando noci e semi. Questo garantirebbe di dimezzare le emissioni di bestiame. Una migliore gestione del letame permetterebbe altri tagli. È infine facile intuire che un’alimentazione vegana, che ha di per sé un impatto ancora minore, avrebbe effetti ulteriormente positivi.

Queste trasformazioni nelle abitudini alimentari non avvengono spontaneamente e richiedono forti segnali da parte dei governi. I ricercatori identificano vari fronti sui quali poter agire: educazione: imposte sui prodotti di origine animali; incentivi per la produzione di alimenti a base vegetale; modifiche dei menù nelle mense scolastiche e nei luoghi di lavoro. Gli esempi sono moltissimi.

Le conseguenze se non cambiamo

La produzione di cibo di origine animale provoca già gravi danni all’ambiente attraverso i gas serra prodotti dal bestiame, la deforestazione e lo sfruttamento idrico eccessivo.

Se tutto rimarrà come è ora, l’aumento della popolazione mondiale stimato a 2,3 miliardi di persone nel 2050 avrà generato un collasso dei sistema alimentare e ambientale. Le conseguenze sarebbero reali e molto gravi: milioni di morti in più per carestie; nuove ondate migratorie; mortalità infantile in crescita; meno diritti per donne e minoranze. È probabile che molti altri aspetti negativi non siano nemmeno immaginabili.

Salvare gli animali da una vita passata negli allevamenti e da una morte violenta nei macelli è il modo migliore per salvaguardare il nostro pianeta. Un’alimentazione vegana può garantire il futuro delle prossime generazioni.

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