Detenuti al lavoro nei campi o in fattoria, una realtà unica in Italia.
REPORTAGE di Ilaria Sesana (Avvenire, 10 settembre 2011) (…leggi tutto)
Si producono olio e vino biologici e gli animali vengono curati con rimedi omeopatici.
Tutti i prodotti sono trasformati sull’isola.
La giornata di Salvatore inizia all’alba. «Sveglia alle cinque e alle sei si esce per radunarepecore e le capre. Dopo la mungitura raccogliamo il latte e portiamo gli animali al pascolo. Stessa storia dalle due alle quattro del pomeriggio. Poi si ritorna in cella». Palermitano, 43 anni, si accarezza la lunga barba brizzolata. “Nel carcere dove stavo prima non c’era modo di lavorare – aggiunge. E così, nel 2008, ho fatto richiesta di essere trasferito a Gorgona”. Da poco più di dieci mesi si trova su questa piccola isola dell’arcipelago toscano, a un’ora di navigazione da Livorno. L’ultima isola – carcere d’Italia è un fazzoletto di terra grande 2,5 chilometri quadrati, accarezzato da un vento tiepido che porta con sé i profumi del rosmarino e del mirto. Tutto attorno, un mare cristallino e incontaminato. Gorgona è un posto unico. Lo si intuisce non appena si mette piede sul piccolo molo e (consegnati i cellulari) ci si incammina lungo la strada sterrata che porta al minuscolo borgo. Dalla parte opposta scende un trattore con tre ragazzi a bordo: “Stiamo andando all’Agricola, dobbiamo spostare il fieno”. “Buon lavoro”, risponde l’agente. Nel 1869 una parte dell’isola venne trasformata in carcere e oggi è una delle ultime quattro colonie penali agricole attive in Italia. Giuseppe Fedele, responsabile dell’area educativa, è la memoria storica di Gorgona. Da 25 anni lavora sull’isola e non l’ha mai lasciata: “Mi sono innamorato di questo posto in sei mesi”, dice. Attualmente ci sono poco meno di novanta detenuti: 47 italiani e 40 stranieri. “Per essere trasferiti qui devono presentare una richiesta e rispettare alcuni requisiti”, spiega Fedele. Residuo pena massimo di dieci anni, non aver avuto rapporti disciplinari almeno negli ultimi due anni, non avere problemi di dipendenze da alcol e droga, essere in buone condizioni di salute. Per raggiungere la fattoria del carcere bisogna arrampicarsi lungo i tornanti sterrati, a bordo di una Campagnola della polizia penitenziaria. Francesco Presti, l’agronomo di Gorgona, sta organizzando il lavoro per la vendemmia e la raccolta delle olive. “Lo scorso anno siamo riusciti a produrre circa otto quintali d’olio biologico – spiega. Anche la verdura che produciamo e i frutti della vigna sono bio. Del resto Gorgona fa parte del Parco dell’Arcipelago toscano e non potrebbe essere diversamente”.
Tutti i prodotti vengono consumati direttamente sull’isola: ci sono infatti un frantoio, una cantina per vinificare, un macello e un caseificio dove viene lavorato il latte. Altri detenuti invece sono impegnati nella cura quotidiana di maiali, oche, galline, asini e cavalli. Ma la presenza degli animali sull’isola non si spiega solo con l’esigenza di imparare un mestiere o portare in tavola una bistecca. “L’animale non giudica chi lo nutre e si prende cura di lui. Non gli interessa se ha precedenti – spiega Marco Verdone, veterinario dell’isola. E questo è molto importante in un ambiente in cui, invece, il giudizio è dominante”. I detenuti della Gorgona sono consapevoli di essere fortunati: quasi tutti hanno toccato con mano il sovraffollamento e il vuoto di giornate trascorse in cella senza far nulla. Nei loro occhi brilla voglia di riscatto, l’orgoglio di chi ha imparato un mestiere ed è orgoglioso di farlo al meglio. “Non avevo mai visto una mucca, ho fatto il cuoco per tutta la vita”, sorride Ivan, gigante biondo di 45 anni. Accarezza gli animali e li chiama per nome, uno ad uno. In una piccola stanza attigua a quella della mungitura un altro detenuto compila un elenco che consegna al veterinario: sono terminati alcuni prodotti della piccola farmacia omeopatica della fattoria e occorre rimpinguare la scorta. Dal 1993 infatti sull’isola non si usano ormoni né cortisonici. E anche il ricorso agli antibiotici è ridotto al minimo essenziale. Ma non solo, i detenuti hanno imparato a dosare questi rimedi e li usano in modo autonomo, cosa che non potrebbero fare con i farmaci tradizionali.
Un progetto impegnativo, quello di Gorgona, che ha tutte le carte in regola per essere il fiore all’occhiello del sistema penitenziario italiano. Ma la crisi morde anche qui. Sono stati infatti ridotti gli stanziamenti per le mercedi, gli stipendi dei detenuti. “Di conseguenza si è ridotto anche il numero di ore lavorative – spiega Giuseppe Fedele – solo gli addetti all’Agricola, che non possono lasciare gli animali, riescono a fare sei ore al giorno. Tutti gli altri sono fermi a quattro”.