Salute e libertà oltre la specie
L’incontro con i detenuti di Rebibbia
di Marco Verdone
Fonte: il granulo, n.22 estate 2013 (pdf)
Sono stato abituato a entrare in un carcere attraversando il mare a bordo di una motovedetta della polizia penitenziaria o di una nave di linea. Vento, sole, onde, gabbiani, berte, profili di terre lontane e a volte delfini, sono stati gli orizzonti esterni che la traversata offriva prima di sbarcare sulla piccola isola di Gorgona. Un taccuino, un libro, discussioni con altri compagni di viaggio, invece gli scenari interni.
Siamo nell’Arcipelago Toscano, luogo di sperimentazione delle cosiddette colonie penali, case di reclusione con un indirizzo essenzialmente agricolo. Ho avuto la fortuna di seguire le sorti dell’isola e dei suoi abitanti per oltre due decenni. Un tempo che è trascorso veloce e che, dopo aver messo tanti come me a dura prova, ha modificato anche la mia visione del mondo e, soprattutto, dei principali “soggetti” del mio interesse: gli animali non umani. Ed è per questo motivo che quando mi sono ritrovato a Roma, in un pomeriggio di metà marzo (il giorno prima dell’XI Congresso Nazionale FIAMO), di fronte al grigio dei muri di cemento e agli spessi cancelli del grande carcere di Rebibbia, è stato inevitabile provare un forte senso di disagio. Animali, carcere, isola, lavoro, rieducazione, libri. Dobbiamo introdurre ancora un altro elemento fondamentale per la mia esperienza e per la nostra storia: la medicina omeopatica. È stato per parlare un pò di tutto questo che alcuni insegnanti e volontari di Rebibbia hanno organizzato un incontro tra un veterinario di frontiera dell’ultima isola-carcere italiana, e un gruppo di persone detenute che frequentano la scuola (ITIS) all’interno dell’istituto. L’incontro è avvenuto all’interno del teatro del carcere dove, con una “certa calma”, i detenuti sono stati chiamati dalle sezioni a gruppetti, facendomi venire in mente l’immagine degli spostamenti delle mucche o dei cavalli da un recinto all’altro. Nonostante le numerose iniziative che qui sappiamo vengono realizzate, si respira aria di carcere “vero”. Quello del sovraffollamento, della mancanza di lavoro, di un futuro che difficilmente trova luce tra ferro e cemento. Non avevamo molto tempo ed io desideravo lasciare una traccia che facesse capire, anche con l’aiuto delle immagini, perché un veterinario era a parlare in un carcere portando la voce degli animali, creature che come loro, più di loro, hanno difficoltà nel farsi ascoltare.
Ho cercato di spiegare come la vita mi avesse portato verso luoghi di confine che non immaginavo, incontrando tante cose riunite in una piccola isola: la libertà e la reclusione, l’umano e il non umano, il cielo e il mare, l’interno e l’esterno, la salute e la malattia, la vita e la morte. Non è semplice riassumere questo lungo e graduale percorso di ampliamento degli orizzonti mentali, emozionali, etici e relazionali. La comunità vivente di Gorgona si è posta in connessione con il mondo esterno che è entrato nel mondo interno di un carcere inusualmente aperto e i frutti di questi scambi sono sempre vivi tutt’oggi.
Mentre mi istruivo sulle regole e dinamiche del mondo recluso, la mia visione “naturalistica” della professione mi aiutava a guardare oltre. Gli animali che “portano l’anima dentro” e che la manifestano con movimento e sensibilità, hanno iniziato a ricevere sempre maggiore libertà. Questa possibilità di espressione diventa la base fondamentale per creare quell’equilibrio dinamico che definiamo come “stato di salute”. Gli animali devono potersi muovere e noi in Gorgona lo abbiamo fatto, per quanto è stato possibile, spesso con grandi difficoltà, nel tempo e con caparbietà. E lo abbiamo insegnato a chi lavorava con essi e a chi veniva a trovarci. Ma non avremmo potuto allargare lo sguardo senza quel meraviglioso dono rappresentato dalla medicina omeopatica.
L’omeopatia ci ha consentito di curare sapendo qual’era l’obiettivo alto da raggiungere e di non trascurare la presenza e il ruolo dell’umano per le condizioni di salute e di malattia degli animali. Nel corso degli anni, superando pregiudizi e barriere di specie, siamo riusciti a offrire, insieme ai colleghi medici, la possibilità di cura omeopatica e fitoterapica a tutta la comunità dell’isola. Il binomio umano/non umano non poteva più essere infranto. Il tutto immerso nella cornice naturale di un’isola con i suoi condizionamenti geografici e le sue dinamiche sociali, emotive, spirituali.
Infine, l’omeopatia ha posto anche le basi per fare il passaggio etico guardando in faccia la realtà e dentro i nostri cuori. La coscienza scalpitava quando bisognava curare un animale per inviarlo poi a una morte oggettivamente violenta, “in piena salute”, sebbene in un macello a norma. La contraddizione è forte e si può o meno scegliere di affrontarla. Ho così deciso che è ingiusto curare per poi favorire l’uccisione, a maggior ragione nel luogo simbolo della Giustizia! Vedevo ormai gli animali con altri occhi e non potevo più tornare indietro. Mi sentivo sulle spalle tabù, abitudini inveterate e condizionamenti culturali. Uccidiamo gli animali perché abbiamo sempre fatto così. Oggi, nel nostro ricco e malato mondo occidentale, sappiamo, dati alla mano, che non ne abbiamo bisogno e che addirittura urge cambiare rotta anche per il futuro del pianeta. Ma continuiamo a farlo. È un problema grande e aperto, soprattutto pensando a quale modello di dominio e violenza stiamo offrendo a persone che dovrebbero uscire dal carcere migliorate (Art. 27 Cost.). Gorgona mi ha indicato la strada per non farlo più, per non essere più complice. Insieme ad altre autorevoli voci abbiamo cercato di esprimere tutto questo nel recente libro OGNI SPECIE DI LIBERTA’ (Altreconomia edizioni) che contiene anche un’inedita “Carta dei diritti degli animali di Gorgona”.
Per questo motivo ero a Rebibbia: per testimoniare e porre quel seme dove c’è l’idea che la dignità e il destino degli animali umani e non umani sono intimamente collegati tra loro in un unico e grande respiro comune.