La carta stampata e l’informazione in generale vivono un momento di crisi. Una possibile risposta al calo delle vendite, è il ricorso massivo alla pubblicità (che pure arranca). Noi, però, abbiamo fatto scelte diverse: non vogliamo avere “editori occulti”, né accettare inserzioni non in linea con l’etica e il manifesto della nostra rivista.
Il nostro appello così, è rivolto a voi lettori: abbonatevi ad Altreconomia. Solo così potremo continuare a fare il nostro lavoro, che oggi è a rischio.
Qualche settimana fa, il lettore di un ottimo settimanale di rassegna stampa internazionale ha inviato al direttore della testata una lettera.
Vi sottolineava il “certo effetto” che aveva provato nel vedere una pubblicità della società Benetton proprio dopo un articolo in cui si raccontava della tragedia del crollo di una fabbrica di abbigliamento in Bangladesh, di cui Benetton probabilmente si serviva. Il direttore della rivista ne ha preso spunto per farne l’editoriale, rispondendo in sintesi che la pubblicità permette di pagare i diritti per gli articoli tradotti e mantenere basso il prezzo di copertina, senza compromettere l’indipendenza delle scelte redazionali (come proprio la presenza del pezzo sul crollo dimostrava).
Non è uno scoop ricordare la crisi economica della carta stampata e dell’informazione in generale. Basta qualche dato: secondo la Fieg, la Federazione italiana degli editori di giornali, nel 2012 e per il quinto anno consecutivo il settore registra dati negativi. I quotidiani da soli hanno perso oltre un milione di copie vendute al giorno, il 22%. Dal 2006 a oggi i periodici hanno perso 800 milioni di euro di ricavi, il 27%.
In questo contesto di cali delle vendite, la pubblicità ha quindi un ruolo strategico. Nei primi 4 mesi del 2013 le inserzioni hanno portato agli editori 2,1 miliardi di euro, il 18,7% in meno rispetto allo stesso periodo del 2012 (dati Nielsen). Sono andati persi quasi 500 milioni di euro. Da sola la televisione si è accaparrata il 57% del totale. Crollo per quotidiani e periodici (rispettivamente -24,8% e -23,9%). La crescita del mercato della pubblicità on line (+1,4%) non arriva nemmeno lontanamente a tamponare il calo totale. Internet nei primi 4 mesi del 2013 ha portato in tasca alle testate on line 164 milioni di euro, 2 milioni in più rispetto al 2012. Secondo la Fieg, il 2012 è stato il peggiore degli ultimi 20 anni per investimenti pubblicitari.
Dal combinato di questi fattori è facile trarre una conclusione: l’informazione arranca, ci sono sempre meno soldi per pagare giornalismo di qualità, la pubblicità -che, solo per i periodici, costituisce il 20% delle entrate- è ossigeno irrinunciabile.
Un altro lettore del settimanale di cui sopra ha replicato al direttore, chiedendogli “Senza la pubblicità di Benetton il buon giornalismo avrebbe le gambe per camminare? Se sì, perché non rinunciarvi? Altrimenti, siamo sicuri che nel legame tra inserzionista ed editore quest’ultimo abbia davvero l’ultima parola?”.
Noi aggiungiamo altre due riflessioni, dalle quali discendono le scelte che abbiamo fatto in materia. La prima: dando per scontata l’indipendenza delle scelte redazionali, accettare pubblicità di aziende il cui comportamento consideriamo scorretto vuol dire accettare soldi che da quel comportamento in qualche modo derivano. La seconda: pubblicare una pubblicità vuol dire contribuire alla filiera commerciale dell’azienda che l’ha promossa, ovvero accreditare l’azienda agli occhi dei lettori. In sostanza, vendere pubblicità vuol dire vendere l’attenzione dei propri lettori, consentire a una società (e al suo messaggio) di raggiungerli facilmente, con una sorta di corsia preferenziale. Allora ci chiediamo: è lecito accettare inserzioni, ad esempio, sessiste? O che spingono al gioco d’azzardo? O che addirittura siano delle truffe, come tanti banner on line? È neutro avere sul proprio sito i proclami di politici dalla dubbia reputazione, o banner che rimandano a video hard di questa o quell’altra starlette televisiva? È un dilemma cui di recente è andato incontro anche Le Monde, la cui redazione ha deciso di pubblicare un’inserzione contro i matrimoni omosessuali, provocando reazioni molto decise tra i lettori (e l’editore, tra l’altro).
Noi abbiamo fatto scelte differenti che costano caro, ma sulle quali non torneremo indietro.
Ma anche noi dobbiamo fare i conti con un calo dei ricavi, che oggi mette a dura prova il proseguimento della nostra esperienza editoriale.
Pertanto, prima di lasciarvi per la pausa estiva con questo numero doppio, vi lanciamo un appello: se pensate che il lavoro che facciamo sia importante, abbonatevi, fate abbonare i vostri amici, regalate abbonamenti ad Altreconomia.