A Oaxaca, la capitale dello Stato più meridionale del Messico, Gustavo Esteva e Sergio Beltrán hanno fondato un’università piuttosto bizzarra. Nella Universidad de la Tierra non ci sono insegnanti né esami, non ci sono programmi da rispettare né libri definiti da leggere. I ragazzi non rivendicano il diritto di studio ma esercitano la libertà di studiare. A Unitierra la conoscenza e la vita di ogni giorno non sono due mondi separati e si prova ad andare oltre l’educazione e il suo rito di iniziazione alla società dello sviluppo. Il sapere ha più valore se non viene certificato ma è una libera relazione con il mondo e con gli altri. La costruzione dell’autonomia, per la straordinaria esperienza che ci raccontano due giovani italiani che la stanno vivendo, è un cammino da percorrere. Per questo Unitierra non è un progetto con un piano prestabilito e degli obiettivi ma un processo di liberazione. A Roma, potremo approfondire il discorso con Gustavo Esteva il 13 aprile
Fonte: http://comune-info.net/2013/02/luniversita-della-terra/
In Messico attualmente convivono nello stesso territorio situazioni sociali estremamente opposte. Da un lato troviamo l’orrore della guerra civile, una spirale di violenza che ha lasciato più di 80.000 morti negli ultimi sei anni: la mal chiamata “guerra contro il narcotraffico” del governo, che in realtà è una guerra contro la popolazione, in cui le fazioni non sono chiare e dipendono dalle relazioni di potere locale di ogni territorio. Troviamo un’emigrazione forzata verso gli Stati Uniti che distrugge il tessuto sociale; una situazione di sfruttamento incontrollato delle risorse naturali, soprattutto minerarie, che avvelena e impoverisce popolazioni e territori interi. Troviamo un governo mafioso e dittatoriale che ha comprato palesemente le elezioni, facendo sì che il Pri (Partido Revolucionario Institucional) che ha governato per 70 anni fino al 2000, tornasse al potere per ridare ancora più forza alla struttura essenzialmente corrotta delle istituzioni messicane.
Tuttavia, e forse anche a causa di tutto questo orrore, il popolo messicano ha saputo reagire da molti anni a questa parte, in maniera estremamente radicale. Sul territorio messicano troviamo le esperienze di costruzione di alternative più avanzate e consolidate, tra cui non possiamo non menzionare la lotta degli zapatisti, che da alcuni anni hanno dato vita ai municipi autonomi, costruendo una forma di buon-governo basato sul servizio e sull’annullamento delle relazioni di potere, oltre a un sistema di educazione ed un sistema di salute autonomi. Oltre all’esperienza zapatista, esistono moltissime altre esperienze in molte comunità indigene e nelle città, di costruzione di autonomia dal basso, difesa del territorio e auto-organizzazione.
In questo contesto va intesa l’esperienza della Unitierra, come parte di un movimento amplio, quotidianamente impegnato nella costruzione di alternative sociali e politiche di vita, attraverso lo sforzo di “recuperare i verbi”: non più quindi esigere dall’alto che vengano coperte necessità concepite come scarse: come educazione, sanità, alloggio, alimentazione etc., ma recuperare la nostra capacità autonoma di imparare, sanare, abitare, mangiare, etc., ricostruendo il tessuto sociale e comunitario, ricostruendo il “noi” in grado di decidere e di agire autonomamente per le nostre vite. La Unitierra, in particolare, si propone di recuperare quindi la capacità autonoma di apprendere insieme .
Partendo dalla volontà di apprendere insieme, la Unitierra non vuole essere una scuola popolare né un centro o un modello di educazione alternativa, vuole piuttosto costituire una alternativa all’educazione e andare oltre l’educazione.
Questa riflessione trova molta della sua ispirazione nel pensiero di Ivan Illich, nella sua critica alle istituzioni educative e nella critica all’idea stessa di educazione. Quello che ci insegnano, prima di tutto, le istituzioni educative con il curricolo occulto, è che il sapere acquisisce valore solo se convalidato dalla loro certificazione: al di fuori da esse ciò che si sa, ciò che si impara, nella società dominante è privo di valore.
La scuola funziona come rituale d’iniziazione alla società dello sviluppo proprio quando porta ad assimilare questa logica, ovvero quando la persona è alienata dalla propria capacità di imparare, quando la nostra porta principale d’accesso alla conoscenza, non è più il mondo, ma qualcuno o qualcosa che ci da informazioni su di esso: quando l’apprendimento, da attività, diventa prodotto, ecco che una nostra relazione sociale primaria si trasforma in atto di consumo. Ma per Illich questa trasformazione non soggiace solo alle istituzioni educative tradizionali, svolgeranno la funzione di rituali d’iniziazione anche le esperienze più radicali e alternative, sino a che saranno fondate sullo stesso mito, quello dell’educazione e della sua affermazione implicita: che l’uomo nasca incompetente per la società, e che solo il passaggio attraverso un ventre istituzionale lo possa rendere pronto ad essa, che solo attraverso un processo di naturalizzazione al mondo si possa imparare ciò che è importante per poter vivere.
Solo attraverso l’educazione, il sapere può essere concepito come un bene scarso, come un prodotto che deve essere confezionato e successivamente assegnato, dallo stato o dal mercato, che di conseguenza non può che essere richiesto. La rottura della dipendenza e della scarsità, si riflette come già menzionato attraverso la riappropriazione del linguaggio: se al posto di chiedere educazione, affermiamo di voler apprendere, ciò che cerchiamo non può esserci fornito da qualcuno o qualcosa, nessuno può imparare al posto nostro.
Alla Unitierra, riappropriarsi del sapere significa riconsiderare la sua natura: il sapere non è un oggetto da ottenere, un prodotto da consumare, un pacchetto di informazioni da processare, quanto piuttosto una relazione col mondo e con le persone. La vita reale e la conoscenza non sono due mondi separati e distanti, al contrario, apprendiamo soprattutto quando stiamo facendo ciò che abbiamo scelto di fare, quando ci caliamo nell’esperienza e nella riflessione su ciò che ci circonda e ci coinvolge direttamente, impariamo dal mondo e non acquisendo informazioni su di esso.
Alla Unitierra, riprendendo tra le nostre mani la responsabilità di apprendere, imparando dal mondo, vogliamo esercitare una libertà, invece di esigere il riconoscimento di un diritto, impariamo insieme, in gruppo attraverso le riflessioni collettive così come in laboratori pratici, apprendiamo il fare non sui libri, ma nell’esperienza e da coloro che fanno quotidianamente ciò che ci interessa imparare, approfondiamo le nostre riflessioni attraverso letture e la discussione collettiva e condivisa, in seminari, gruppi di studio, circoli. Apprendiamo, mantenendo un determinato sguardo sulla realtà: la costruzione dell’autonomia, la continua ricerca di quello che insieme, dal basso, dal nostro territorio e dal suo tessuto sociale, possiamo fare per costruire alternative allo stato attuale delle cose, impariamo anche osservando e riflettendo sulle esperienze che altre e altri, a livello locale, nazionale o internazionale mettono in pratica in maniera simile, e su ciò che al contrario sta avvenendo nella politica dell’alto, nelle istituzioni, nel mercato.
Andare oltre l’educazione significa così dar vita costantemente ad una rete, uno spazio, un’organizzazione, che sia da supporto alla comunità di apprendisti decisa ad imparare verso questa direzione, in maniera libera e gozosa1. La metafora che meglio rappresenta questa flessibilità della Unitierra è quella dell’amaca: la sua forma si adatta al corpo di chi la usa, a prescindere che si sia alti, bassi, magri o grassi, se necessario può essere facilmente smontata, ripiegata e spostata da un posto all’altro.
Se nelle istituzioni e organizzazioni classiche, fatte di obiettivi, regole e requisiti la persona deve adeguarsi ad una struttura rigida per potervici fare accesso, l’amaca-Unitierra non vuole avere una forma predeterminata, ma invece adattarsi alle esigenze della comunità che la compone:
non c’è un programma precostituito che definisca ciò che deve essere appreso o il percorso su cui camminare, si tratta piuttosto di adattare lo spazio e l’organizzazione alle esigenze di coloro che la vivono, “i suoi studenti” e a quello che decidono di fare e imparare.
Non vi sono requisiti per potervici entrare, non c’è un costo per le attività a cui si sceglie di partecipare, così come non viene richiesto alcun tipo di titolo di studio, allo stesso tempo non si assegnano diplomi, se non in maniera scherzosa, scrivendoli e stampandoli al computer di fronte alla persona che li richiedesse per ricordo.
Il Seminario “Caminos de la Autonomía”
La “colonna vertebrale” dell’Unitierra è il Seminario settimanale “Caminos de la Autonomía” (Cammini dell’Autonomia). Si tratta di uno spazio d’incontro e di riflessione su quello che sta succedendo nel mondo, in Messico e a Oaxaca, con una domanda centrale ¿Cosa possiamo fare qui ora noi? L’idea non è arrivare a soluzioni pratiche ma approfondire la riflessione e l’analisi. Per fare questo ci chiediamo sempre: cosa sta succedendo in alto (arriba), ovvero negli ambiti del potere, le istituzioni e il capitale? Come questo che sta succedendo in alto ha impatti sulla gente (in basso)? ¿Cosa sta succedendo in basso? Ovvero quali sono le reazioni e le alternative costruite dalla gente e all’interno dei movimenti sociali? Alla luce di questo, qual è il ruolo che vogliamo assumere?
Grazie a queste riflessioni, sono molte le iniziative concrete che sono state prese da diversi gruppi che partecipano al Seminario. Una delle più rilevanti in questo momento è il processo “Rigenerare le nostre comunità”.
Rigenerare le nostre comunità.
Questo processo (non ci piace chiamarlo progetto, perchè non c’è un piano prestabilito che determini dove condurrà), nasce proprio cercando di dare una risposta concreta alla costante domanda posta nel seminario “il cosa possiamo fare noi, qui, ora, dal basso?”, nella ricerca da parte di un gruppo di comunità (attualmente 20) della regione circostante alla città di Oaxaca, (Valles centrales), di soluzioni ai sempre più grandi problemi che stanno affrontando: le condizioni di vita materiale in costante peggioramento, la devastazione dell’ambiente che le circonda, la crescente preoccupazione per le prospettive dei giovani (moltissimi abbandonano presto le scuole e non hanno un lavoro), la violenza dilagante con cui sempre più devono fare i conti.
Con la convinzione che un cambiamento sostanziale a tali condizioni non possa arrivare dall’alto, si cerca quindi di trovare insieme risposte che partano dal loro tessuto sociale, imparando come rigenerare le loro capacità autonome.
Si è cominciato dai problemi materiali di base, tutt’altro che marginali, individuati dai gruppi delle comunità: principalmente acqua, alimentazione, rifiuti. In base all’interesse delle famiglie, spesso nelle loro stesse case, ci si riunisce in gruppo per imparare, mettendole direttamente in pratica, alcune tecniche ecologiche realizzabili con costi nulli o per lo più molto bassi e accessibili (p.es con materiali di scarto o facilmente reperibili sul territorio locale), per trovare soluzioni alle esigenze quotidiane più immediate e allo stesso tempo alla devastazione dell’ambiente.
L’acqua è per molte comunità, un problema costante, i fiumi, che sino a 15 anni fa erano fonte di vita così come di lavoro, sono stati devastati dall’inquinamento degli scarichi fognari e di tutto quello che i centri popolati producono, i pozzi hanno sempre meno acqua o quella che hanno è sempre più spesso inquinata già dalla falda da cui attingono, l’acqua intubata per uso domestico in alcuni casi non arriva ai centri abitati o arriva in misure molto scarsa, e non è mai potabile. Nei laboratori si impara quindi a costruire strumenti come: filtri per potabilizzare l’acqua (fatti con sabbia, pietre di fiume e carbone), per smettere di comprare la costosa acqua imbottigliata; bagni secchi, che permettono di far diventare nel giro di 6 mesi concime ciò che invece si sarebbe scaricato nei fiumi, autonomizzando così dalla necessità di connessione alla rete fognaria; scaldabagni solari (fatti con il vecchio copertone di bus, un vetro che lo ricopra e 50 m di pompa per l’acqua); sistemi di raccolta delle acque piovane dai tetti e cisterne per il loro immagazzinamento; filtri vegetali per il riutilizzo delle acque saponose.
La questione dei rifiuti è un emergenza sempre più rilevante: senza contare tutto ciò che è abbandonato nella natura, smaltire la spazzatura è un pesante costo economico e anche una costante minaccia per la salute : si paga il camion dei rifiuti, sia esso privato o pubblico, ogni volta che porta via il proprio sacco di spazzatura, le discariche sono sempre più piene, vengono costruite vicino a centri abitati, e portano sempre più costantemente malattie e inquinamento dell’aria, dell’acqua e della terra. Si impara dunque come affrontare il problema su due livelli: un primo dando ai materiali di scarto nuovo valore d’uso attraverso il riciclo diretto, con la costruzione di oggetti e strumenti che possano servire alla vita quotidiana, un secondo di più vasta portata, basato sulla condivisione della conoscenza necessaria all’organizzazione a livello comunitario di un sistema di raccolta e differenziazione dei rifiuti, in modo che siano le stesse comunità a rivendere ciò che si è differenziato ai centri di riciclo: una comunità che è stata di ispirazione su questo percorso, è riuscita in questo modo a far diventare lo smaltimento, da costo privato dei suoi abitanti, un guadagno diretto da reinvestire in strutture e attività comunitarie.
La terza area di attività pratiche è relativa al cibo: la preoccupazione sulle malattie derivate dagli alimenti di produzione industriale, così come le difficoltà derivanti dal loro crescente costo, ha portato alla costituzione di laboratori di agricoltura ecologica in cui si apprende a coltivare direttamente le proprie verdure e piante medicinali. Senza l’uso di prodotti chimici e anche con ridotti spazi a disposizione, ci si occupa quindi di tutto il relativo processo: dalla ricerca dei semi, all’uso di pesticidi e concimi naturali, alla raccolta di ciò che si è seminato, si compiono piccoli passi per il recupero della sovranità alimentare familiare e comunitaria.
In questo processo, il fine ultimo non è la semplice realizzazione del laboratorio e della tecnica ecologica, il percorso che si intraprende vuole arrivare ad una più ampia portata: riunirsi per imparare assieme come affrontare la situazione attuale, implica prima di tutto la volontà di rigenerare il tessuto sociale comunitario e rinvigorire, attraverso la condivisione, le relazioni e i legami che lo compongono: è solo da qui che può partire la ripresa in mano delle proprie vite, la costruzione dell’autonomia. Questo significa cercare che le comunità diventino in breve tempo autonome dalla Unitierra stessa: il principio di gratuità dei laboratori comporta un impegno morale, quello di condividere la conoscenza appresa con le altre famiglie della comunità, l’idea è che dopo alcune sessioni dello stesso laboratorio, le tecniche ecologiche vengano fatte proprie e non abbiano più bisogno di alcun esterno per continuare ad essere implementate. In alcuni casi inoltre, sono stati gli stessi partecipanti a diventare “promotori locali” dei laboratori stessi, ovvero attivi nel condividere la conoscenza delle tecniche ecologiche nella propria o in altre comunità.
Nella fase attuale è emersa la spinta verso tipi di attività che vadano oltre l’immediatezza delle tre appena descritte, la Unitierra sta dando per esempio supporto alla costituzione di cooperative di giovani delle comunità che gli permettano di ottenere un’entrata economica dignitosa attraverso la realizzazione di attività integrate alla rete dei processi di autonomia comunitaria: la costruzione delle strutture per i bagni secchi, il riciclo di determinati materiali etc.
Le comunità di Oaxaca
È interessante soffermarci un poco su come sono le comunità in cui mettiamo in pratica queste alternative. Si tratta di comunità indigene, o di origine indigena, rurali e urbane, ovvero paesi e quartieri nella regione delle Valli Centrali di Oaxaca. Questi paesi e quartieri mantengono, alcuni più ed altri meno, forme organizzative comunitarie, ed è per questo che si concepiscono come comunità e si reggono costituzionalmente per “usos y costumbres” (usi e costumi). Questo significa che hanno un sistema di governo comunitario (che molto spesso coincide con il livello di amministrazione pubblica municipale) diverso da quello rappresentativo ed elettorale. Le comunità che si reggono sugli usi e costumi, infatti si governano attraverso un’assemblea di tutta la comunità che prende le decisioni attraverso il consenso. Le autorità municipali o comunitarie sono nominate in questo modo e offrono un servizio gratuito da uno a tre anni, oltre alle autorità (presidente municipale, segretario/a, tesoriere/a, etc.) le comunità si organizzano attraverso comitati e incarichi. I comitati sono gruppi di persone che si occupano di temi specifici della comunità, i comitati più comuni sono quelli della scuola, dell’acqua e i canali d’irrigazione, delle terre comunali, delle feste del paese etc. In molte comunità anche il servizio di sicurezza e di giustizia è gestito a livello comunitario, per cui gli abitanti della comunità fanno dei turni di servizio gratuito come “poliziotti” o meglio guardiani della comunità. Un pilastro importante delle comunità è il cosiddetto tequio, ovvero il lavoro collettivo gratuito di tutta la comunità per il beneficio comune (esempio: costruzione di un’opera pubblica, o pulizia dei canali d’irrigazione o del cimitero, etc.). Gli ambiti di lavoro in comune sono quelli che contribuiscono al rafforzamento del tessuto sociale.
È chiaro che questi sistemi comunitari non si trovano isolati e pertanto non sono quasi da nessuna parte “puri” ma si ibridano con il sistema statale e dei partiti e con l’economia di mercato, che nella maggior parte dei casi ha una funzione di disgregazione del tessuto comunitario. Quindi esiste una tensione costante tra le pratiche comunitarie e le logiche di potere e di risoluzione individualista della vita. Le pratiche promosse all’interno dell’Unitierra, in questo contesto, puntano percfiò a rafforzare le pratiche comunitarie già esistenti e a recuperarle dove si sono perse.
Oltre agli incontri nelle comunità, un’altra delle iniziative in corso, nata a partire dalle riflessioni del Seminario, è quella di Radio Unitierra, un progetto che sta nascendo sulla base dell’esperienza delle radio comunitarie che si sono diffuse molto a Oaxaca e in altre parti del Messico negli ultimi anni, come mezzi di comunicazione autonomi e alternativi ai media di massa. A Oaxaca le radio comunitarie e del movimento sociale hanno svolto una funzione importantissima, specialmente durante il 2006 con il movimento della Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca (APPO) quando per mesi interi la popolazione ha occupato le radio e le televisioni commerciali locali per diffondere la parola della APPO e della gente. Da quel momento si è riscoperta l’immenso potenziale dei mezzi di comunicazione autonomi e molte comunità hanno istallato le proprie radio comunitarie dove possono trasmettere nella propria lingua e parlare delle cose che realmente riguardano la comunità. In questo senso Radio Unitierra si concepisce come un progetto di radio urbana che possa diventare un punto d’incontro anche per le radio comunitarie circostanti.
Un altro tema ricorrente nel Seminario Caminos de la Autonomia è quello del modo di resistere delle comunità zapatiste. Quest’anno dopo alcune forti aggressioni paramilitari a alcune comunità, alcuni partecipanti del seminario hanno sentito la necessità di dimostrare più attivamente la loro solidarietà sulla base dell’idea che difendere lo zapatismo oggi, significa difendere anche noi stessi, per la speranza e il cammino che rappresentano. Per cui si è dato vita al Circolo di Informazione e Sostegno “Veredas Autonomas” (Sentieri Autonomi) che sta iniziando a fare attività di diffusione e solidarietà con gli zapatisti e con altre lotte sul cammino dell’autonomia come per esempio “Las Abejas”, organizzazione indigena pacifista del Chiapas.
In generale, si può dire che la Unitierra è un contenitore che funge da laboratorio per iniziative autonome. Gli esempi sono innumerevoli e si trovano anche nel passato, tra questi vale la pena citare il Centro Autonomo di Creazione Interculturale di Tecnolgie Appropiate (CACITA), un’idea nata all’interno dell’Unitierra e ora con vita propria, grazie alla quale si è dato vita a uno spazio di generazione di innovazioni tecnologiche a servizio delle persone o strumenti conviviali (in termini di Illich) come per esempio le bici-macchine. Altre come la campagna “Sin maíz no hay país ” (Senza mais non c’è paese) o la cooperativa di produzione interculturale di cioccolata Chocosol anch’esse generate col supporto di Unitierra e ora autonome: la prima è impegnata a livello nazionale nella difesa delle innumerevoli varietà di mais nativo (l’elemento millenario a cui è legata la nascita della vita e delle molteplici culture mesomericane, nonché tuttora alimento base del paese) dai forti tentativi di imposizione delle sementi ogm brevettate delle multinazionali, sempre più sostenute dai governi nazionali e statali; la seconda, mettendo in relazione luoghi distanti come Oaxaca, Chiapas e Toronto, ha portato alla produzione di cioccolata attraverso l’utilizzo di strumenti conviviali come forni solari e bici-macchine, generando un meccanismo di scambio basato sul commercio orizzontale, permettendo così di creare attività autonome basate su un lavoro dignitoso e ben remunerato per tutti gli attori coinvolti nel circuito.
Oltre alle iniziative pratiche, la Unitierra ha sempre favorito l’esistenza di gruppi di studio, ricerca e riflessione su temi specifici (per esempio qualche anno fa si è portato avanti un seminario sulle culture orali). In questo momento si sta realizzando un seminario sia presenziale sia in linea, sul pensiero di Marx e Illich coordinato da Gustavo Esteva e un gruppo di ricerca sul lavoro non salariato a Oaxaca.
Conclusione
In conclusione, suonerà forse banale dire che non è semplice poter descrivere a parole quello che sta succedendo e che ogni giorno si vive, attraverso la Universidad de la Tierra. La costruzione dell’autonomia, è un cammino, non un piano di tappe prestabilite, il suo cuore è il noi, fatto di vite e le relazioni, persone in carne e ossa, è solo questo noi a compiere passi nel mondo reale, nel qui che ci circonda, nell’ora in cui siamo immersi, riscrivendo la sua storia ogni giorno. Senza di esso, tutto ciò che abbiamo appena descritto in questo testo, semplicemente non sarebbe stato possibile. Al contrario vediamo con sorpresa come, nella sua persistenza, la riaffermazione del noi si stia giorno per giorno allargando, in maniera radicalmente plurale, senza controllo e tentativi di indottrinamento: per contagio. Amici vicini e lontani, comunità così come quartieri urbani, dentro e fuori dal Messico e da Oaxaca, accogliendo questo messaggio, fanno propria la volontà di riprendere in mano le proprie vite. Così come la Universidad de la Tierra è sorta in California, in Chiapas e a Puebla, altri, partendo da ambiti diversi, camminano verso l’autonomia a volte senza neanche necessità di darsi un nome, in maniera simile però, si riappropriano del linguaggio quotidiano e del fare come perni dell’inversione politica.
Per questo si può forse dire che non è solo la critica di Illich ad ispirare la Unitierra, non solo si è fatto tesoro della sua cassetta degli attrezzi, grazie a cui interpretare quello che sta succedendo attorno a noi, nel mondo.
In maniera esplicita o meno, si mantiene vivo e si rinnova anche il suo invito, tutt’altro che obsoleto: guardare in faccia la realtà e vivere un reale cambiamento. Con parole semplici e chiare, quasi cinquant’anni fa, insieme ad alcuni amici, lo definì una chiamata alla celebrazione.
Veniva descritta così:
“Noi dobbiamo viverli, questi cambiamenti; non possiamo soltanto pensare al cammino da fare verso una nuova umanità. Ciascuno di noi e ciascuno gruppo col quale viviamo e lavoriamo deve diventare il modello della nuova età che vogliamo creare. Tutti questi modelli che si verranno sviluppando potranno fornire a ciascuno di noi la condizione reale in cui è possibile celebrare ogni nostra potenzialità e scoprire il cammino verso un mondo più umano. […]
Noi possiamo uscire da questi sistemi disumanizzanti. La via per andare avanti sarà trovata da quanti non accettano l’apparente totale determinismo delle forze e delle strutture dell’epoca industriale. La nostra libertà e il nostro potere di agire, dipendono dalla volontà di assumerci la responsabilità del futuro. […]
La celebrazione di questa umanità dell’uomo mediante l’unione di tutti, mediante la guarigione delle ferite esistenti nelle relazioni reciproche, dove ciascuno accetta sempre più la natura dell’altro e sopperisce alle sue necessità, creerà indubbiamente nuove occasioni di confronto per mettere in discussione i valori ed i sistemi esistenti. Una più ampia dignità di ogni uomo e delle sue relazione con gli altri uomini, non può che essere una sfida per il sistema esistente.
Questo è un appello a vivere il futuro. Uniamoci tutti insieme nella gioia per celebrare la nostra consapevolezza di questo grande fatto: noi possiamo costruire la nostra vita oggi sull’immagine di quella di domani.”2
Questo testo presenta e racconta l’esperienza diretta di Irene Ragazzini e Claudio Orrù nella Unitierra di Oaxaca. È stato preparato per il convegno su Ivan Illich, tenuto a Lucca nei primi giorni di dicembre del 2012.
Sabato 13 aprile Gustavo Esteva sarà ospite di Comune-info per un incontro pubblico alla Biblioteca Fabrizio Giovenale del Parco di Aguzzano (ore 16) di Roma (nei prossimi giorni pubblicheremo tutte le informazioni sull’iniziativa)
*Gustavo Esteva ama dichiararsi un intellettuale deprofessionalizzato ed è il fondatore dell’Universidad de la Tierra, a Oaxaca, Messico. La sua vita è fatta di molte rotture: nei primi anni ’60 è giovane dirigente della Ibm e poi della Banca pubblica del commercio, mentre comincia il suo impegno in gruppi di ispirazione marxista che poi abbandona per le loro posizioni sulle lotte contadine. Dal 1970 al 1976 è un funzionario del governo del presidente Echeverría. Economia e alienazione è il titolo del suo primo libro, scritto per mettere in discussione lo sviluppo statalista. Poco dopo comincia il suo lavoro per organizzazioni non profit e diventa amico e collaboratore di Ivan Illich, ma anche consulente per l’Esercito zapatista di liberazione nazionale in Chiapas ai negoziati con il governo.
«Ho il sospetto che la rottura più importante della mia vita – ha raccontato – si è verificata quando ho cominciato a ricordare le esperienze con mia nonna da bambino. Non poteva venire a casa nostra a Città del Messico perché era indigena. Mia madre non le permetteva di parlare con noi in zapoteco o raccontarci storie della sua comunità. Ma io adoravo mia nonna e durante le vacanze riuscivo a stare con lei molto tempo…». Dalla fine degli anni ’80, Esteva vive nello stato di Oaxaca e ha dedicato il suo lavoro di ricerca alla critica profonda dell’idea di modernità occidentale, partendo dal punto di vista e dall’idea di cambiamento di alcune comunità indigene.
Esteva è autore di numerosi saggi per riviste e di diversi libri, tra quelli tradotti in italiano, Elogio dello zapatismo per Karma edizioni e La comune di Oaxaca per Carta. L’ultimo è Antistasis. L’insurrezione in corso, edito da Asterios.
CLICCA sull’immagine per vedere il Video realizzato nei primi giorni del 2013 al Cideci Centro Indigena De Capacitación Integral nel seminario sul pianeta e i movimenti anti-sistemici