Nelle carceri centocinquanta decessi l’anno, di cui oltre un terzo per suicidio
I numeri forniti dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria parlano di oltre 3.000 detenuti morti negli ultimi 20 anni, dei quali circa un terzo per suicidio (vedi documento pdf allegato).
Il nostro Osservatorio dal 2002 raccoglie notizie da fonti “indipendenti” rispetto all’istituzione carceraria (operatori sociali, volontari, parenti dei detenuti, etc.) ed al confronto con i dati ufficiali ci risultano, ogni anno, alcune decine di morti in più. Il motivo di questa divergenza sta nel fatto che prendiamo in considerazione anche i detenuti morti in ospedale, dopo aver tentato il suicidio in cella, o per l’esito di malattie che sono insorte o si sono aggravate durante la detenzione, o per altri avvenimenti occorsi in condizione di privazione della libertà.
Il caso Cucchi è emblematico di ciò che intendiamo per “morire di carcere”: Stefano è morto fuori dalle mura penitenziarie (in una stanza dell’Ospedale “Pertini”) e ancora non è accertato se per la negligenza dei medici o per traumi contusivi subiti. Però se non fosse stato “un detenuto” molto probabilmente sarebbe ancora vivo.
L’Osservatorio permanente sulle morti in carcere cerca di approfondire le cause dei decessi delle persone recluse restituendo la “dimensione umana” che le nude cifre del Ministero non possono rappresentare, a cominciare dall’età media dei suicidi: 37 anni; ma è solo poco più alta (39 anni) l’età media dei detenuti morti per malattia: nelle carceri italiane la “speranza di vita” delle persone si dimezza, rispetto a “fuori”.
Gli stranieri sono il 35% della popolazione detenuta, ma quasi il 50% dei morti in carcere, nonostante i reclusi stranieri siano mediamente più giovani degli italiani.
L’80% dei decessi riguarda persone condannate a meno di 3 anni, il 40% persone in attesa di giudizio, tecnicamente innocenti e in 1 caso su 2 destinate ad essere assolte… se fossero sopravvissute alla “carcerazione preventiva”.
Il detenuto morto suicida ieri a Noto era segnalato come soggetto “psicologicamente fragile”, avrebbe “potuto” essere in misura alternativa, avrebbe “dovuto” essere ristretto nella Regione di residenza della famiglia.
La morte, ogni anno, di 150-180 detenuti non è un’ineluttabile “effetto collaterale” dell’esecuzione della pena nelle carceri italiane, ma un pesante deficit di umanità e di legalità del nostro sistema giudiziario.
Leggi QUI il documento sugli “Eventi critici negli istituti penitenziari 1992-2012”
vedi anche www.ristretti.org