Animali, Uomini, Natura e Omeopatia nell’isola di Gorgona: racconto di un viaggio

Racconto di un viaggio

a cura della
Dott.ssa Carla De Benedictis

 

 

 


Viaggio
 nella colonia penale di Gorgona Conobbi il collega veterinario omeopata al congresso nel 2006 quando presentò un bellissimo lavoro frutto di anni trascorsi nella comunità Saharawi, nel deserto del Sahara. Un popolo di rifugiati che da più di 30 anni sono accampati e quasi ignorati dagli organismi internazionali, nell’inospitale deserto del Sahara algerino. (www.fiamo.it Omeopatia nel popolo del Saharawi ). Dopo la proiezione del video piangevamo tutti, tanta era stata l’intensità e il messaggio trasmesso.

Mi piacque di lui la semplicità, la libertà interiore e la passione per il genere umano, animale e per la vita in genere. Nacque una bella amicizia, fatta di condivisioni sul nostro sentire più profondo legato a vicende omeopatiche:un esempio di come abbracciare un metodo alternativo di cura diventa poi un modo di agire e sentire, il sentire omeopatico. Durante un viaggio in macchina per un congresso mi parlò della sua esperienza ventennale come veterinario ufficiale nell’azienda agro-zootecnica della colonia penale dell’isola di Gorgona.

Racconti incredibili di rapporto inscindibile uomo-animale-natura, di rapporti umani intensi superando il pregiudizio, di come si può comunque modificare una realtà tanto rigida come quella penitenziaria. L’idea di portare questa esperienza anche in altri carceri, e dunque l’elaborazione del progetto, ha visto un primo step essenziale, visitare il modello già esistente.

Decidiamo in fretta la data, lui chiede le autorizzazioni alla direttrice del carcere e dopo una corsa e slalom tra il traffico da Pisa a Livorno, arriviamo al porto e prendiamo al volo la nave per Gorgona. Insieme a noi ci sono due amici di Marco. Nella nave inizia il vero viaggio e Marco ci presenta qualcuno: un residente che ha problemi di manutenzione della casa (le case sono dell’autorità penitenziaria e i soldi vengono da Roma), un detenuto, in permesso, che a causa del mare in tempesta ha dovuto aspettare una settimana a Livorno nel carcere, e un agente di custodia che rientra per lavorare, lui conosce tutti e parla con tutti.

Gorgona non ha un porto,per cui lo sbarco avviene con la motovedetta. Arriviamo dopo un breve tragitto stipati e sballottati dalle onde e quando sbarchiamo sulla terraferma guardie armate e blocchi ci ricordano che stiamo entrando in un carcere. Dobbiamo consegnare i cellulari, le macchine fotografiche, i documenti e poi siamo “liberi “. La giornata è splendida anche se è novembre e iniziamo la salita verso le stalle. Facciamo una sosta alla chiesetta: Marco ci spiega che è stata ristrutturata tutta dai detenuti, è in legno. Il cappellano Padre Davide aveva messo in piedi una banda musicale, cantavano alla messa e andavano talmente forte che sono anche “usciti” per partecipare a manifestazioni esterne. Poi il prete è andato via, e anche in seguito a due omicidi occorsi inaspettatamente, c’è stato un giro di vite e tutto ciò si è sciolto.

Ora viene un altro prete, ma la comunità avrebbe bisogno di una figura fissa e di riferimento. Continuiamo la salita verso le stalle e si fermano agenti di custodia in camionetta a chiacchierare, detenuti che scendono col trattore, Marco ci presenta ogni volta a tutti e comunque il nostro gruppetto crea curiosità, tanto che inizia un via vai che per arrivare alle stalle ci mettiamo quasi un’ora. I detenuti si sentono fieri che persone esterne si interessino a loro, gli agenti di custodia ci chiedono cosa ci stiamo a fare lì. Due visioni diverse di uno stesso mondo, legittime entrambi.

Dal 1993 è stata introdotta la medicina omeopatica come cura degli animali allevati in Gorgona: vacche, maiali, pecore, capre, cavalli, asini, polli, api, pesci. I prodotti, carne, formaggio, miele e pesce vengono venduti e i detenuti percepiscono uno stipendio, tutti lavorano e mandano i soldi alle loro famiglie. Per entrare in Gorgona il detenuto deve aver avuto una condotta ineccepibile e un carattere che gli permetta di relazionarsi in un gruppo di lavoro. Diciamo che durante il giorno sono liberi, a pranzo devono essere tutti presenti a mensa e la sera rientrano nei loro appartamenti. Visitiamo le stalle, le porcilaie, facciamo un’autopsia a un agnello morto, insomma routine veterinaria. I detenuti sono competenti e partecipi, gente normale, non si percepisce la detenzione. Poi il solito imprevisto, una vacca si spacca un corno e trascorriamo circa due ore a cercare di fermare l’emorragia, con ciò che avevamo nell’armadietto dei farmaci, cioè niente. La vacca Maria si dibatte, non riusciamo a tenerla ferma, il sangue schizza dappertutto a fiotti, una scena di un film horror. Non ci perdiamo d’animo, e dopo legature fatte con il cordino delle balle di fieno e impacchi al gel di aloe, che Marco ha abbondantemente piantato sull’isola, l’emorragia si ferma.

È passata l’ora di pranzo e riscendiamo per farci un panino nel bar degli agenti. Poi andiamo a trovare il direttore del carcere: ci si aspetterebbe un omaccione, è invece una gradevole signora, minuta, vestita sportiva, bionda con gli occhi azzurri, molto gentile. Ha un ufficio stupendo all’ultimo piano di un edificio antico, è tutto a vetrate a picco sul mare, si vedono le onde infrangersi sugli scogli , l’altra parte dell’isola con le rocce e gli alberi che protendono verso il mare , e sembra di stare sospesi , in un posto che assomiglia a un paradiso dove il tempo ha i suoi ritmi e la natura esprime sé stessa. Scendiamo di nuovo e andiamo visitare i cavalli. Li governa un cinese.

Mi figlia chiede all’educatore per quale reato fosse recluso: tentato omicidio. Non siamo in un film, tocca con mano una realtà, ma non riesce a vedere queste persone diverse da noi. Si fa quasi l’ora del ritorno: c’è una sola nave che parte poi niente fino al giorno dopo, se non la motovedetta degli agenti di custodia. Non vi sono dire per quale motivo reale, forse si perde la cognizione del tempo, ma abbiamo perso la nave: e nulla è valsa la corsa fino al porto. L’abbiamo visto partire lentamente, girarsi e prendere il largo.Nell’ora libera che ci separava dalla partenza della motovedetta siamo andati a trovare la signora Luisa ,nata in Gorgona e sopravvissuta a un’alluvione che le invase la casa di fango e la proiettò dalla finestra facendole fare un salto di 4 metri. Per fortuna un fiume di melma che scendeva dall’alto protesse la sua caduta. Sul sito di mediterraneo (rai 3) c’è anche un breve filmato su di lei. Vive sull’isola da 50 anni. Ci offre da bere in una casa che odora di umidità marina e mi colpisce la sua determinazione di vivere da donna libera in una colonia penale. “Sono nata qui e qui voglio rimanere!” Arriva il momento di imbarcarci. Saliamo sulla motovedetta insieme ad agenti di custodia che tornano sulla terraferma, il buio rotto solo dai display dei comandi, il parlare sommesso, alcuni dormono, il mare una tavola, in lontananza le luci del porto di Livorno.

Mi chiedo chi sono i veri reclusi: chi deve scontare una pena o chi per campare passa la maggior parte del tempo lontano dalla famiglia a controllare persone che hanno sbagliato? I volti dei carcerati che lavoravano con gli animali e col trattore all’aria aperta mi ritornano in mente: gente normale e cordiale, a fine pena, che si sarebbe ricongiunta alle famiglie da lì a poco. Gli agenti di custodia, no, loro avrebbero continuato a rimanere lì, a vedere la gente avvicendarsi. Non sempre un lavoro si sceglie, a volte si è costretti , conobbi un buddista vegetariano che lavorava in un mattatoio, per vivere… È stata una giornata intensa, specialmente per mia figlia, che è tornata a scuola raccontando che era stata a visitare un carcere e che la sua paura iniziale di incontrare chissà quale gente pericolosa, si è sciolta subito incontrando gli occhi delle persone. Si fa presto a sbagliare nella vita, in un attimo ci si può perdere, non dovremmo mai scordarlo.

Dott.ssa Carla De Benedictis
(pubblicato su http://omeopatiaveterinaria.com/animali_uomini_natura.html)

About Redazione