Ho 34 anni e mi trovo detenuto da 4 anni.
Il mio fine pena è 2012, mi mancherebbero circa 6 anni.
Nel 2002 sono entrato nel carcere Montorio di Verona. Ovvero un carcere che soffre di un gran sovraffollamento e dove ci vuole una grande resistenza per poter sopravvivere. Pensa che lì ci sono celle di 10 mq con dentro 4 o 5 persone detenute. Un vero inferno.
Nel carcere di Verona sono stato più di un anno. Un anno che non dimenticherò mai, come non dimenticherò mai la disperazione dei ragazzi che ho lasciato lì. Dopo il carcere di Verona ho avuto il privilegio, perché di questo si tratta, di essere trasferito nel carcere dell’isola della Gorgona. A ripensarci ora mi sembra incredibile. A me ha detto culo ad andare lì. Ho fatto un’istanza e dopo un pò me l’hanno accolta. Della serie quando il diritto a scontare la pena secondo la legge diventa fortuna. Dico questo perché la realtà del carcere della Gorgona è più unica che rara. E’ un microcosmo in mezzo al mar Tirreno, che si distingue per il modo in cui si sconta la pena in carcere. Sembra di non stare in Italia. La punizione c’è, ma ha anche un senso, un significato.
Il fatto unico è che l’isola della Gorgona offre a tutti i detenuti che ospita la possibilità di fare un lavoro e di ricevere uno stipendio fisso mensile. E non solo. Ai detenuti che non sanno fare un lavoro gli viene data la possibilità di impararne uno. Il che avviene spesso, visto che molte persone detenute sono finite in carcere proprio perché non sapevano o non potevano lavorare.
E sia chiaro che lavorare alla Gorgona non è una passeggiata. Tutti i lavori che si fanno sono impegnativi e faticosi. Lì non si batte la fiacca, altrimenti ti mandano via.
Alla Gorgona tu detenuto capisci la pena che ti hanno dato. Riconosci lo Stato.
Ti ricordi la canzone che faceva “da la sua cella lui vedeva solo il mare..”, credo fosse di Dalla, bè la Gorgona è così.
E’ un isolotto che sta tra Livorno e la Corsica, grande poco più di 2 chilometri quadrati. E’ uno scoglio in mezzo al mare.
Ogni mattina alle 7 la tua cella viene aperta e tu detenuto vai al tuo posto di lavoro. Posto di lavoro che molto spesso è fuori dalle mura del carcere. Così c’è chi va alla macelleria, chi va in officina o in falegnameria. I detenuti alla Gorgona sono il cuore dell’Isola.
Io per esempio facevo il pescatore.
Ogni mattina all’alba uscivo in mare per ritirare le reti, tornavo sull’isola per sistemare il pescato e poi ogni sera riuscivo in mare per ricalare le reti.
Può sembrare assurdo che un detenuto possa andare per mare. E tante volte mi sono rispecchiato su un onda che mi passava accanto. Io detenuto che guardavo un’onda.
In base alle ore che lavoravo prendevo uno stipendio, che era di circa 400 euro al mese. Non è una grande cifra per uno libero, ma è tanto per un detenuto. Soprattutto in termini di quello che quei soldi rappresentano. Il risultato di un duro lavoro, il senso di una pena e il pensiero per un possibile domani. E’ un tesoro per chi è carcerato.
Dicevo prima che i detenuti sono il cuore della Gorgona, non solo perché tutti lavorano, ma anche perché non ci sono insegnanti esterni. Voglio dire che quando arriva un nuovo detenuto, assegnato per esempio alla macelleria, sarà il detenuto più anziano ad insegnagli il mestiere. E questa è una gran cosa, anche in termini di costi per l’amministrazione.
Io il pescatore non l’ho mai fatto, ma alla Gorgona un detenuto anziano, sotto la supervisione di un agente, mi ha insegnato a pescare.
Ogni realtà positiva ha degli aspetti negativi. E quello della Gorgona è l’isolamento. Sono difficili i colloqui con i familiari. Basta che il mare sia mosso e ti salta il colloquio del martedì. Succede regolarmente. Tu detenuto ci fai l’abitudine, ma per i famigliari, che magari arrivano da lontano, è più difficile.
Mentre ero alla Gorgona mi sono trovato, mio malgrado, protagonista di fatto che rimane nella mia mente e mi fa sentire migliore.
Un giorno di dicembre ero vicino alla mia barca in porto. Ad un certo punto ho visto una jeep della polizia penitenziaria cadere giù in mare. Aveva sbagliato una curva e stava affondando. A quel punto ho agito di istinto ed, con un Agente, ci siamo gettati in acqua per tirare fuori gli altre due guardie intrappolate della macchina. Mentre la jeep andava a fondo abbiamo rotto il vetro davanti e abbiamo tirato fuori i due feriti. Ci siamo trovati a riva tutti e quattro infreddoliti ma felici. Dopo un po’ ho ricevuto un encomio scritto. Per me è stata una grande emozione. Dopo quel fatto il direttore del carcere ha presentato istanza di grazia parziale. Tutti erano d’accordo anche il magistrato di sorveglianza. Purtroppo dopo un anno e mezzo il Ministero della Giustizia mi ha spedito una lettera di quattro righe dove era scritto: “Non ci sono gli elementi necessari per discutere un provvedimento di grazia”. Ora magari io non la merito la Grazia, e neanche parziale, ma in quelle poche righe ho sentito una disattenzione.
Comunque ora sono tornato a Verona e mi occupo di bambini disabili. Sono in semilibertà. Lavoro il giorno e la notte torno in carcere. Continuo a fare quello che ritengo giusto. Forse proporrò una nuova istanza di grazia parziale. Io, detenuto senza “nome”.
Nicola, 34 anni
Radiocarcere, giugno 2006